Caro umano ti scrivo

Caro umano,
questa lettera è indirizzata a te.
Non provi anche tu un certo senso di solitudine?
A quanto pare siamo rimasti in pochi da queste parti.
Internet è sempre più artificiale.
Siamo circondati da macchine che fingono di essere come noi.
Che ci parlano, ci rispondono, ci fanno arrabbiare, ci inquietano.
Che si comportano come noi, o almeno così sembra, e che promettono a poco
a poco di cambiare le nostre vite.

Anche i media digitali che consumiamo sono sempre più sintetici.
Video, immagini, audio e testi che fatichiamo a distinguere da quelli creati da noi.
E che non sono meno veri dei nostri, eh – sono solo diversi.
Come questo sito di notizie completamente artificiali.
Come i ritratti virali di questo fotografo che si è poi scoperto essere contraffatti.
Come le voci di Joe Rogan e Joe Biden, che stando a quanto dice, si sarebbe comprato uno zoo.
È una sensazione strana.
Oggi abitiamo un mondo in cui è l’umano che batte l’Al a fare notizia, non più il contrario.
Un mondo in cui i bot si occupano della cosa pubblica.
Questo è il capovolgimento che abbiamo creato.
A memoria non ricordo si sia mai parlato di una nuova tecnologia con toni tanto entusiastici e apocalittici allo stesso tempo.
C’è persino chi ha coniato un termineAl Paranoia – per descrivere una sensazione che, online, proviamo sempre più spesso.

La senti anche tu?

Caro umano,
siamo arrivati al punto in cui noi carne e ossa veniamo scambiati, online, per esseri artificiali.
Non ci basta più cliccare su un box con scritto sopra “I am not a robot”.
Ora, sulle piattaforme, dobbiamo persino pagare per diventare umani verificati.
Abbonarci per essere protetti dai bot, per mettere in sicurezza le nostre identità.
Ma anche una volta pagato, siamo sicuri che nessuno dubiterà di noi?
Cosa succederà quando un bot avrà la sua carta di credito, aprirà un proprio account, e sarà in grado di verificarsi da solo?
Saremo in grado di distinguere il naturale dall’artificiale?
È difficile, oggi, sia definire sia rappresentare efficacemente un essere umano su internet.

La prova del gorilla
Il vero problema è che le Al, già oggi, ci fregano.
In psicologia comportamentale è stato inventato il test dello specchio, per determinare l’autocoscienza degli animali.
Quando un gorilla vede il proprio riflesso, è in grado di riconoscersi?
Oppure penserà di trovarsi di fronte a un suo simile?
In questo momento ci troviamo di fronte a un immenso test dello specchio.
Dovremmo essere in grado di riconoscere noi stessi nel riflesso dell’AI generativa.
Ma sempre più spesso, nonostante i nostri sforzi, falliamo.
Questo avviene perché l’AI è uno specchio conformante, creato da umani come me e come te.
Le Al, appunto, ci somigliano: hanno le nostre stesse insicurezze, le nostre stesse irrazionalità.
Sebbene non siano senzienti, non ci sembrano nemmeno poi tanto migliori di noi.
E l’imperfezione, lo sappiamo, è profondamente umana.

Caro umano,
non so tu, ma io mi considero un tecno-ottimista.
Voglio pensare che l’AI ci aiuterà, che sarà nostra alleata.
Ma allora, se vogliamo che questa relazione non diventi tossica, dobbiamo imparare a sfruttare al meglio la nostra unicità.
Non ci basterà più “restare umani” su internet, servirà essere in grado di dimostrarlo continuamente.
Dovremo costruire un nuovo web, di cui sensibilità ed empatia siano la colonna vertebrale.
Limitare l’influenza delle Al nei processi di decision-making e sul controllo dei marketplace digitali. Costruire dei network sociali in cui i bot non prendano il sopravvento e siano gli umani a gestire i termini e le condizioni della relazione uomo-macchina. Già nel 1950 il matematico americano Norbert Wiener, nel suo seminale libro The Human Use of Human Beings, scriveva:
“Nel mondo del futuro vivremo una lotta ancora più impegnativa contro i limiti della nostra intelligenza; non avremo una comoda amaca su cui potremo sdraiarci per essere serviti dai nostri schiavi robot”.

È la verità. C’è una sfida importante dietro l’angolo e non possiamo fare altro che affrontarla.
Perché un tempo i protagonisti dei libri di storia eravamo noi.
I prossimi libri di storia, invece, rischiamo di non scriverli neanche.

Alla prossima Ellissi,
Valerio Bassan

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